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Lettera ad Alba Parietti

Questa lettera, datata 7 novembre 1992, si riferisce ad una offerta che fu destinata a don Paolo, appunto da Alba Parietti, in occasione di una vincita ad un gioco televisivo.

Gentile Signora Alba,

credo sia giusto che Le scriva una parola riconoscente, dopo il suo intervento in Partita Doppia del 22 ottobre. Può ben credere che ero rimasto stupefatto quando, due sere prima, Rita mi disse di aver fatto il mio nome per suggerire un destinatario dell’offerta della sua vincita; quando poi Lei giovedì sera, mi presentò, lo fece con parole così intense e impegnative, da indurmi a sentire più forte l’esigenza di raccontarle direttamente qualcosa, andando un momento oltre l’informazione, credo troppo benevolmente amichevole, che Lei aveva avuto.

È vero che ormai da molti anni mi trovo preso in un rapporto frequente con persone in condizioni disagiate e difficili: evidentemente con gente che è malata, angustiata, problematica (incontri che capitano agli esseri umani, a un prete probabilmente un po’ più spesso della media), e in particolare con persone in condizioni di povertà economica, di quelli che stanno al dormitorio, in stazione, sotto i portici… per i quali ci sono diversi punti d’incontro e modalità di soccorso, civili ed ecclesiali; io credo d’essere frequentemente in difetto per il mio modo di intervenire: se è vero che ci può essere qualche significato in un atteggiamento che non sia di puro e semplice rifiuto o rinvio, di fronte a uomini e donne che non di rado si sentono respinti e contano poco, troppo spesso quel ch’io faccio non va molto oltre il dare qualche lira; e si sa che i soldi, anche se pochi, costituiscono un’attrattiva che può essere troppo facile, e si prestano, più che altri tipi d’aiuto, a qualche ambiguità e furbizia.

D’altra parte non sono stato in grado finora di elaborare in questo settore qualcosa di un po’ più attento e differenziato (avendo impegni di lavoro e studio – poco studio, ahimè – che m’impongono tempi spesso molto stretti); e, di fronte alla richiesta fatta qui e ora, credo di essermi mosso prevalentemente a partire dal presupposto del tipo meglio sbagliare cedendo che rifiutando: non sempre e non indiscriminatamente, beninteso, cercando di avere una qualche cognizione personale, con un desiderio di comprensione e condivisione, talora con sbrigatività e, temo, superficialità, col progetto di quando in quando rinnovato e quasi pateticamente ripetuto di cambiare metodo e con qualche tenue prospettiva di riuscirvi un giorno.

È in questo clima un po’ confuso che non ho resistito alla tentazione di mandarLe il racconto di Roth[1] che trova nel pacchetto: lo conoscerà già, ne è stato fatto anche un film, ma lo si legge, o rilegge, in poco tempo, ed è percorso da un filo umilmente poetico, che include miseria e compassione, con una serietà profonda e lieve, non priva, nonostante tutto, di una sua letizia.

Qui devo aggiungere due annotazioni, la prima che non voglio esagerare a illudermi sulla santità dei bevitori (ne conosco parecchi), l’altra che non vorrei usare il librino di Roth come un paravento esibito con qualche astuzia per nobilitare un mio modo di procedere che lascia per lo meno perplessi; resta che, per quel che mi è dato di credere e riesco a capire, pur in una realtà spesso inquietante e con aspetti di contraddizione, sa affiorare una parola amica, una confluenza creativa, un confortante (dev’essere stato con pensieri non molto dissimili che mi è venuto di lasciarLe anche l’altro libretto con feste e racconti ebraici).

Desidero anche farLe sapere che, della somma che mi è stata destinata intendo dare una buona parte ad una cooperativa gestita da amiche (non vedenti e vedenti) che stampano in Braille libri d’interesse religioso (e qualcosa per un servizio scolastico), vendono sottocosto (risultando pur così abbastanza elevati i prezzi dei libri) e hanno considerevoli difficoltà economiche.

Per il resto ho già qualcosa in mente e vedrò di muovermi in modo non eccessivamente casuale.

Qualcuno ha detto che, consumando qualcosa per chi è in difficoltà, ci si fa degli amici con i quali far festa al momento giusto[2]: vorrei saperlo dire senza presunzione alcuna, con discrezione, con quieta e resistente speranza.

La ringrazio ancora molto per quel che di utile si potrà fare, e per la simpatia che ha espresso; mi permetta di augurarLe che si verifichi nella sua vita e intorno a Lei qualcosa di quella specie di miracolo che è preannunziato in un salmo, che cioè bontà e verità s’incontrino e giustizia e pace si bacino.[3]

Molto cordialmente

Don Paolo Serra Zanetti


[1] J. Roth, La leggenda del santo bevitore, Adelphi.1988.

[2] Cfr. Lc 16,9.

[3] Sal 85,11.


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