Per il matrimonio Giorgio e Monica

Omelia di Don Paolo Serra Zanetti

13 Ottobre 1990

Tante volte (e da parecchi anni) con Giorgio e Monica ci siamo trovati ad ascoltare insieme, a meditare, a cercare di accogliere ed amare la parola, questa parola che ci è annunciata nel nome di Dio, la parola che, come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra senza averla fecondata e fatta germogliare, cosi non ritorna a Dio senza effetto senza aver operato ciò che desidera, senza aver compiuto ciò per cui è stata mandata. Abbiamo desiderato sempre di nuovo, spero, di ricevere quella parola, accogliendola non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, operante ed efficace, discreta e potente, talora difficile ma presto e più profondamente amica, non di rado sconvolgente ma per essere quanto prima possibile e nel modo più reale riposante.

La parola che diventa preghiera e che genera attenzione e accettazione reciproca e affetto convinto e via via confermato, essa ci ha uniti e ci ha anche fatto star bene insieme, progressivamente.

È per questo motivo e a questo titolo che ora, nella liturgia del matrimonio di Monica e Giorgio, mi permetto di parlare, spero con fede e con amicizia e con riconoscenza.

Abbiamo conosciuto qualcosa della divina fedeltà e vi abbiamo creduto, e chiediamo di perseverare e di avanzare in questa strada; la fiducia fondamentale di continuare, di superare ogni stanchezza, di riprendere sempre, ci viene dall’aver cominciato un poco a sperimentare la verità dell’amorosissima fedeltà che è il nome di Dio che si svela.

Giorgio e Monica, che si vogliono tantissimo bene e per questo sono felici oggi di farsi reciprocamente una promessa impegnativa per tutti i giorni della vita, hanno insieme chiara coscienza che a dar loro una salda speranza di vivere il loro matrimonio in modo giusto, coerente, lieto, creativo, è, costitutivamente, il Dio che, in Gesù, si è fatto conoscere come sì, come forza d’amore fino alla fine (al τέλος !).

Monica e Giorgio vogliono con molta convinzione darsi un sì senza riserve, e in insieme lo sentono strettamente legato a, e fondato sul sì di Dio, antico come la creazione e defini­tivamente espresso nella croce e nella Pasqua.

Per questo hanno desiderato leggere oggi la pagina del profeta Isaia dove c’è una splendida promessa di matrimonio, rivolta dal profeta, in nome del Signore, a Gerusalemme, al popolo di Dio, progettualmente all’umanità intera: è richiamato un nome antico precedente vecchio che evoca tristezze, solitudini, desolazioni, e compare un nome nuovo, proposto dal Signore in persona, il nome di un amore duraturo e stabile, tenero e gioioso.

Certo, questo è il progetto che vuol essere definitivo (e che ci ricorda la celeste Gerusalemme che discende dal cielo come una sposa adorna per il suo sposo), ma che è già iniziato e vuol riflettersi ed esprimersi fin d’ora in ogni forma di comunione e solidarietà e in modo eccellente e singolarmente significativo nell’amore sponsale inteso nel suo senso più immediato e fin dall’inizio voluto come aiuto insostituibile, come dono offerto ad Adamo per uscire dall’isolamento del proprio cerchio individuale, per accogliere ed essere accolto, per comunicare, con semplice e grandissima gioia.

Il passaggio da ăzûbāh abbandonata a hěpşî-bāh mia diletta – lo si accennava un momento fa – sta anche a indicare una storia che conosce fatiche e prove e ombre: nel cammino verso la pace di Dio, e nel cammino di una progressiva e convinta accettazione reciproca fra due sposi; ma abbiate grande fiducia perché quel nome nuovo è posto oggi come sigillo, sul vostro cuore e sul vostro braccio, e la parola di Dio che amate e oggi ascoltate e ci fate ascoltare vi confermerà e vi conforterà: voi oggi vi sposate nel Signore, con una decisione vostra che è insieme un fidarvi della sua verità misericordiosa; lasciatevi aiutare dalle parole di grazia e aiutatevi insieme a ritrovare questa sorgente fresca di operosa speranza a cui oggi attingete, la sobria ebbrezza del buon vino che oggi vi allieta il cuore e rallegra noi tutti; e aiutate anche noi a credere nel Dio vivente che fin dall’inizio ha fatto incontrare con stupita festosa gratitudine l’uomo e la donna, e che poi, in seguito alle loro ferite e stanchezze e debolezze, “viene accanto…e versa…sulle ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza” (Prefazio comune VIII).

Quando ricordavo poco fa la vostra umana e responsabile decisione avevo in mente la vostra storia comune ormai non breve, segnata da un forte intenzione desiderio di autenticità e in questo anche da una qualche pena e pausa e silenzio, e poi ricomposta con una persuasione ritrovata e dilatata; e pensavo alle parole che leggevamo di Isaia; e pensavo anche alle parole di un sermone per un matrimonio (che già con altri amici ho avuto occasione di ricordare], scritto in carcere nel maggio ’43 da quel cristiano genuino e testimone verace che fu il pastore Dietrich Bonhoeffer, parole che hanno qualcosa di una maestosa e quieta fermezza, come di un movimento largo all’inizio di una sinfonia: [Resistenza e resa, 1982, p. 101] “… Una coppia di sposi ha il diritto di accogliere e di celebrare il giorno del matrimonio vivendolo come un incomparabile trionfo. Se le difficoltà, le resistenze, gli ostacoli, i dubbi e le esitazioni non sono stati semplicemente messi tutti da parte, ma lealmente affrontati e vinti – ed è certo un bene che le cose non filino via troppo lisce -, allora i due sposi hanno ottenuto effettivamente il trionfo decisivo della loro vita; essi hanno sfidato con serena sicurezza tutti i problemi e le perplessità che la vita fa nascere nei confronti di ogni durevole legame tra due persone, e si sono conquistata, con un atto di responsabilità personale, una terra nuova per la loro vita”.

E non si tratta qui certo di “trionfalismo” predicatorio, ma piuttosto di messa in luce d’un aspetto dello splendore della volontà di Dio per l’uomo e la donna nella stabilità vera del loro amore; ci aiuta a intenderlo, nel segreto della predica, per esempio una parola un’espressione come questa: [ibid. p. 103] “… d’ora innanzi è il matrimonio che sostiene il vostro amore…Liberi da tutte le ansie che l’amore porta con sé, potete dirvi, con sicurezza e totale fiducia: non potremo perderci mai più, ci apparteniamo reciprocamente fino alla morte per volontà di Dio”.

E ancora [ibid. p. 106]: Dio vi dona Cristo come fondamento del vostro matrimonio. «Accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria di Dio» (Rm 15 [7]). In una parola: vivete insieme perdonandovi a vicenda - i vostri peccati - , senza di che non può sussistere alcuna comunità umana, e tanto meno un matrimonio. Non siate autoritari fra di voi, non giudicatevi e non condannatevi, non sovrastatevi, non attribuitevi la colpa l’un l’altra, ma accoglietevi per quello che siete, e perdonatevi vicendevolmente ogni giorno, di cuore. »   Il vangelo delle nozze di Cana è stato scelto per la ragione, subito evidente, della presenza di Gesù a un matrimonio – allora di quegli sposi non nominati, oggi a quello di Monica e Giorgio: una presenza che attesta, di fatto, la continuità di un progetto, il divino festoso mai più dimenticato progetto nuziale (anche la liturgia di questa domenica XXVIII ha al suo centro un invito a nozze).

Ma ben presto il racconto ci fa pensare, con l’evento, che è anche un simbolo, del venire a mancare del vino, al venir meno (nella vita di ciascuno e anche nella vita di una coppia) – un venir meno imprevisto, dolorosamente inaspettato e disarmante – della contentezza, della speranza fiduciosa, di un certo gusto di vivere e di far vivere, del lieto desiderio di camminare insieme e insieme costruire, poi lo stesso oscurarsi della fede e il raffreddarsi dell’amore.

E qui c’è l’intervento breve ed essenziale della madre di Gesù; rivolta a lui, una constatazione “Non hanno più vino”; rivolta ai servi allarmati (agli uomini che si sentono minacciati) un imperativo coraggioso “Fate quello che vi dirà”. Ed ecco l’inizio dei miracoli – più precisamente dei “segni” – che Gesù compie: l’acqua che diventa vino, per cui quella che potremmo dire realtà naturale dell’amore e del matrimonio entra come in un nuovo corso nel quale è riconoscibile un umile segno di quel mistero che si dischiude e si fa conoscere come gioia di Dio; e che mi ci fa augurare, concretamente - col salmo prima letto -, una buona prosperità per tutti i giorni della vostra vita e figli come virgulti d’olivo intorno alla vostra mensa; e che ci fa pregare perché, consegnandovi alla bontà fedele di Dio, possiate fare l’esperienza, nonostante tutto, di una festa che non ha più fine.

Ho detto “consegnandovi”, pensando che avete scelto anche la lettura di Rom. 12,1-2, che è un’esortazione possibile e urgente e preziosa per ognuno che ha iniziato a conoscere il Signore, e per una coppia di sposi che desidera ardentemente vivere “nel Signore” il proprio amore e il proprio matrimonio.

L’offerta di sé che è il culto spirituale, senza del quale rimarrebbe incompiuta la liturgia che si celebra, pur così mirabile e operatrice di grazia; e che è un non-conformismo umile e benedetto (μή συσχηματίζεστε τώ αίωνι τούτω v.2; [παράγει γάρ τό σχήμα τοΰ κόσμου τούτου, 1 Cor 7,31 ricordato (p. Paolo) iersera]); e che è un rinnovamento per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono e gradito e perfetto: sempre, chiediamo; speriamo sempre di nuovo e possibilmente, meglio; avanzando in questa mirabile libertà di amare.

τή ελπίδι χαίροντες

τή θλίψει υπομένοντες

τή προσευχή προσκαρτερούντες

ταίς χρείαις τών αγίον κοινωνοΰντες

τήν φιλοξενίαν διώκοντες

un’offerta e un dono e un impegno di vita per ogni cristiano; voi lo fate vostro, grati e desiderosi di obbedire in pace e verso la pace.

Questo che sono andato dicendo può suscitare il sospetto di qualche ottimismo un po’ convenzionale in una predica per un matrimonio; ma vuol essere piuttosto un atto di fede e di speranza nel Dio “più grande del nostro cuore”, che impariamo a conoscere attraverso Gesù e nello Spirito di Gesù, quel Dio che – al di là di ogni umana debolezza e impotenza – sa e vuole portare a termine ciò che ha iniziato, per ciascuno, e più specialmente, oggi, per Giorgio e Monica, che nella loro vita, nel loro amore, nel loro matrimonio recheranno frutti di giustizia e misericordia, frutti di mitezza e di pace.

Amen


Scarica il testo

Vedi anche: Riflessioni e Omelie